LE NOTTI DI CABIRIA

Avevamo fatto in tempo a chiederlo, all’amatissimo Fellini, il permesso di rifare in musical, dopo l’esperimento di Bob Fosse, ed egli, come sempre, aveva accolto l’idea con affetto e con una di quelle sue ciniche e spiritose battute: “ma insomma via libera, fatemi sapere, aspetto l’assegno“. Sono passati alcuni anni ed ecco che ci ritroviamo di fronte a questa donna umiliata e offesa, procace, totale, immagine vivente della poetica felliniana che abbiamo tentato di riprodurre secondo una fedelissima infedeltà che si rispecchia nelle scelte tipiche del “Giornalino” di Mandrake, un fumetto cult dell’immaginario fantastico del regista. Le scene, i costumi, con i loro colori violenti, sono ispirati a quel sentimento eccessivo e tutto felliniano, come se tutto fosse stato disegnato dallo stesso autore in uno di quegli schizzi a pennarello che si lasciava quasi inconsciamente alle spalle. Rispetto, dunque, e naturalmente molto amore, riconoscenza: l’infedeltà riguarda solo una certa struttura narrativa e teatrale che riduce sempre più i margini neo realistici che quel film, ai cui dialoghi aveva messo mano anche Pasolini, ancora possedeva prima che Fellini spostasse definitivamente tutti i suoi set nell’inconscio. Invece la grande fedeltà è quella verso la stessa Cabiria, verso la poetica del grande regista: il diaframma, sempre più sottile, sempre più invisibile, sempre più incerto, tra realtà e fantasia. O meglio tra speranze e illusione, tra sogno e concretezza: il tutto coniugato, nei riferimenti, a una sorta di “modernariato” dell’Italia adorabile e adorata, viva e spontanea, degli anni ’50, con struggenti riferimenti sociologici, qualche amarcord canzonettaro e un divertente gioco di dialetti, da Roma in su e da Roma in giù.
Non sarà un musical con i lustrini, come non lo era quello tratto da “Otto e mezzo” sarà però il tentativo di un vero musical nostrano, che non traslochi stilemi e stereotipi dall’America, ma che rivendichi una priorità di ispirazione e la felicità narrativa di un contesto storico tra i più gradevoli della nostra realtà alla vigilia di quel famoso boom. In quell’Italia dove trionfava il neo realismo rosa dei poveri ma belli e il talento di Fellini scoppiava con “La strada” “I vitelloni” “Il bidone“. Cabiria è stata una protagonista del mondo dell’illusione che si risolve in poesia, nell’ottimismo della ragione, della volontà e dei sentimenti; perciò il Mago, in queste 7 notti dominate da un universo tutto femminile, è diventato il narratore multiforme, filo rosso di tutta la vicenda, in cui si moltiplicano così i piani di lettura, di interventi e forse di fascinazione.
Un musical nostro e diverso, all’opposto del tentativo di Bob Fosse “Sweet Charity“, in cui l’apporto di Cucchiara spinge la colonna sonora verso una sorta di espressionismo alla Brecht-Weill, ma con improvvise risorse melodiche, qualche immaginifico ricordo di Rota, inevitabile e struggente. L’importante è codificare ancora una volta, come diceva Federico Fellini, che la vita è sogno e il cinema la proietta sullo schermo 4 volte al giorno. Un doppio sogno che si riflette nel musical e nella coscienza di chi lo guarda e forse spende così un po’ del suo patrimonio sentimentale ai buoni fini della Grande Magia.
Maurizio Porro e Saverio Marconi

CAST & RUOLI

liberamente tratto dal film di Federico Fellini  Sceneggiatura F. Fellini, E. Flaiano, T. Pinelli
Musiche Gianluca Cucchiara Testo Saverio Marconi e Maurizio Porro Liriche Chiara Noschese
Regia Saverio Marconi

con
Cabiria Chiara Noschese
Il mago Gennaro Cannavacciuolo   Oscar Fabio Ferrari
Maria Paiato – Edoardo Sylos Labini
Loredana Crepaldi – Eleonora Vanni – Loredana Sartori – Simonetta Minuti – Veronica Cipolletta

scene Aldo De Lorenzo Costumi Paola Mariani
Direzione musicale e arrangiamenti Emanuele Friello Disegno fonico Carlo Marchiori

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